Stagione SAN FEDELE MUSICA 2018 - 2019
Sacro in musica
Chiesa di San Fedele, piazza San Fedele 4, MI ingresso libero
26 maggio 2019 ore 16.30
Wolfgang Amadeus Mozart
SINFONIA KV 551 (Jupiter)
allegro vivace, andante cantabile, menuetto/allegretto, molto allegro
Luigi Cherubini
REQUIEM n. 41 in do minore
Introitus et Kyrie
Graduale: Requiem aeternam
Sequentia: Dies irae- Lacrimosa
Offertorium: Domine Jesu Christe - Quam olim Abrahae - Hostias et preces - Quam olim Abrahae
Sanctus et Benedictus
Pie Jesu
Agnus Dei et Communio
I Civici Cori e Orchestra della Civica Scuola di Musica Claudio Abbado Francesco Girardi, maestro preparatore
Mario Valsecchi, direttore
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Orchestra
Antonio Di Donna, Irene Barsanti, Luca Perotto, flauto
Federica Monti, Francesco Mariano, Matilde Giusti, Francesco Chimienti, clarinetto
Guido Toschi, Antonella Varvara, oboi
Sebastian Belotti, Leonardo Maria Scarano, fagotti
Fabio Ponzelletti, Alfredo Pedretti, corni
Lisa Fiocco, Aleksej Levi, trombe
Loris Guastella, Luca Missiti, Rodolfo Rondinelli, tromboni
Luca Poloni, timpani
Archimede De Martini, Martina Verna, Giulietta Bianca Bondio, Miklos Papp, Alessia Giuliani, Emanuela Russo, Irene Niglio Pilar, Rossella Serino, violini primi
Matteo Vacca, Mara Kitharatzis, Maurizio Ghezzi, Giulia Gambara, Pietro Cirino, Alice Currao, Riccardo Brigliadoro, Lorena Caffi, violini secondi*
Roberto Ghezzi, Valentina Cattaneo, Francesco Caputo, Maria Beatrice Aramau, Elisabetta Danelli, viole
Andrea Stringhetti, Federico Parnanzini, Fabio Furlanetto, Alfredo Cicoria, violoncello
Federico Donadoni, Giosuè Pugnale, Zinovii Shkurhan, contrabbassi
Coro
Giuseppina Airaghi, Patrizia Ambrosiani, Maria Pia Boellis, Marina Bonfanti, Elena Brini, Vincenza Cannarella, Paola Catenaccio, Mirella Del Mastro, Elena Elettra Doria, Silvia Gialinà, Anna Iannone, Italia Lia Iollo, Elisabetta Magagni, Silvia Claudia Laura Manni, Moira Maggi, Marta Moreschi, Alessandra Penna, Claudia Porretto, Denise Prandini, Simona Ricci, Paola Maria Rossi, Piera Angela Saccenti, Silvana Soldano, Monica Venanzetti, soprani
Michela Allais, Antonella Caterina Attardo, Annalisa Burbo, Silvia Cantoni, Cai Yang, Maria Canu, Simona Lydia Cuneo, Antonella Dalla Pozza, Sonia De Luca, Marina Gaudenzi, Maria Antonietta Grasso, Maria Luisa Lodi, Cristina Rita Lombardo, Grazia Maria Maiolino, Filomena Mastantuono, Kaori Matsuura, Paola Ottino, Barbara Picutti, Maria Pietra, Biancamaria Pizzi, Letizia Rampani, Eugenia Rizzo, Anna Caterina Sbordone, Cristina Scagliotti, Maria Chiara Vitali, contralti
Enzo Luigi Giuseppe Bensi, Lorenzo Demaria, Fabrizio Fassone, Marzio Ferranti, Sandro Levi, Roberto Mariani, Carlo Marossi, Eugenio Demetrio Porcino, Giuseppe Saldaneri, Marco Sprega, tenori
Guido Fogacci, Roberto Granata, Simone Grisotto, Maurizio Maestrelli, Sergio Perri, Dino Pugnale, Federico Salvatori, Michele Tribuzio, Fabio Zambon, bassi
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W.A. MOZART
SINFONIA n. 41 in do maggiore "Jupiter", K 551
Mozart compose le sue tre ultime sinfonie -in mi bemolle maggiore K. 543, in sol minore K. 550 e in do maggiore K. 551- in tre soli mesi, tra il giugno e il 10 agosto 1788. La ripresa in maggio di Don Giovanni a Vienna, dopo il trionfo della prima a Praga, non aveva sortito il successo sperato e la situazione finanziaria del musicista si era fatta preoccupante. Ne fanno fede, amaramente, le incalzanti richieste di denaro rivolte all'amico e compagno di loggia massonica Michael Puchberg, e la conseguente necessità di cambiare alloggio, spostandosi dal pieno centro di Vienna alla meno costosa periferia. Il 27 giugno la morte ad appena sei mesi di età della figlioletta Theresia pesò ulteriormente su equilibri psichici e familiari già precari. Tutto ciò concorre a fare di quell'estate del 1788 uno dei periodi più infelici della vita di Mozart. La liberazione avvenne ancora una volta col lavoro creativo, come in una lotta incessante tra l'ombra e la luce: sicché può sorprendere ma non meravigliare la straordinaria piena creativa di quel periodo, con la composizione febbrile dei tre capolavori sinfonici accanto ad altre pagine importanti di musica da camera. Al culmine della triade, e quasi suggello luminoso di tutto il sinfonismo mozartiano, la Jupiter celebra il trionfo di un magistero tecnico ed espressivo tanto spontaneamente esibito quanto pazientemente costruito sul confronto con i grandi modelli del presente (Haydn) e del passato (il contrappunto bachiano e haendeliano). Dopo la scelta di un organico più raccolto per la Sinfonia in sol minore, Mozart ritorna al fasto timbrico di quella in mi bemolle, con trombe e timpani, ma senza i clarinetti: una tavolozza timbrica tesa a valorizzare il carattere vittoriosamente affermativo di un lavoro che, con la lucentezza abbagliante delle sue astratte geometrie formali, si allontana non solo dalla robusta opulenza della Sinfonia K. 543 ma anche dal cupo patetismo della Sinfonia in sol minore K. 550. La Sinfonia K. 551, nella sua maestà solare intonata a olimpica grandezza (da cui il nome di Giove, probabilmente attribuitole dall'impresario londinese Johann Peter Salomon, l'alfiere di Haydn), coniuga la solidità comunicativa di un do maggiore epico e monumentale con la sottigliezza a tratti perfino inquietante della ricerca contrappunstica.
La
Jupiter è una sorta di apoteosi della forma sonata, estesa eccezionalmente a ciascuno dei quattro movimenti, e tuttavia rivitalizzata da un così organico uso del contrappunto da conquistare nuovi spazi espressivi, arcate e tessiture sinfoniche fino ad allora mai esperite. Nell'esposizione del primo movimento, allegro vivace in do maggiore e senza introduzione, la geometria sonatistica, benché disegnata sulla trama abituale dei due temi, tende ad allargarsi nella complessità di profondi contrasti psicologici. Prima ancora che venga presentata la seconda idea tematica, gli elementi del primo tema entrano a far parte di un capillare processo di elaborazione, dilatatosi in un'ampia transizione di ben cinquantacinque misure. Una pausa teatrale separa questa sezione dall'atmosfera del secondo tema, che dall'iniziale grazia quasi affettuosa precipita fuggevolmente in un tono tragico e pensoso. Né è ancor tutto. Prima di chiudere la parte espositiva Mozart introduce un terzo tema nella coda, ancora isolato da una pausa d'effetto. Si tratta della citazione scherzosa di un'arietta buffa (Un bacio di mano K. 541) composta tre mesi prima per il basso Francesco Albertarelli, l'interprete viennese del Don Giovanni: un tema all'apparenza innocente e leggero, pronto tuttavia a lasciarsi frammentare nella prima parte dello sviluppo in un denso gioco contrappuntistico. L'altra metà dello sviluppo si richiama invece imperiosamente al tema principale d'esordio, introdotto da una falsa ripresa del tono della sottodominante. La vera ripresa alla tonica si presenta ulteriormente ampliata e arricchita nella strumentazione.
Anche nell'andante cantabile in fa maggiore è rinvenibile una struttura sonatistica basata sull'opposizione di una serena melodia enunciata dai violini e dalle viole con sordina con una seconda idea in do minore di carattere agitato e drammatico. Un terzo tema di fluente effusione melodica riporta di nuovo nel modo maggiore; ma sarà la seconda idea tematica in do minore, con le sue affannose sincopi e le increspature delle coppie di biscrome, a dominare interamente lo sviluppo. La ripresa è variata e viene preparata dalla riapparizione del terzo tema con funzione cadenzante, per lasciare spazio alla melodia iniziale solo nella coda, in un sottile gioco di incastri e di ricreazioni del materiale espositivo. Anche la forma binaria del minuetto è dilatata dalle dimensioni che vi assume la seconda parte, impreziosita da un sinuoso disegno cromatico discendente, in contrappunto con se stesso, che dà origine a una sezione di sviluppo di stampo sonatistico. Ricollegandosi a questa figura, le prime quattro note della sezione mediana del trio anticipano il tema-soggetto, quasi "motto", con cui si apre, sottovoce e in tono di mistero, il finale, molto allegro. Per quanto Mozart avesse già utilizzato questo incipit in almeno una decina di composizioni precedenti, a cominciare dall'andante della sua prima Sinfonia K. 16, esso si presenta ora come una emblematica sintesi del pensiero sonatistico e di quello della fuga.
Cinque idee tematiche (tre appartenenti al primo tema, due riservate al secondo) si succedono nella imponente esposizione, rivelando nessi intimi e strette parentele. Dopo il ritornello, un breve sviluppo fugato combina ed elabora materiale proveniente dalla prima sezione tematica. Ma questo processo non si esaurisce nello sviluppo, prolungandosi direttamente nella ripresa, dove raggiunge punte di tensione armonica sorprendenti e quasi estreme. Infine tutti e cinque gli incisi tematici ricorrono nel grandioso edificio polifonico della famosa coda: essa si distende ancora per quasi cento battute, prima nella calma di una solenne dilatazione in valori larghi, poi nella stretta festosa e incisiva. Tale limpido furore contrappuntistico si placa solo nella fanfara gioiosa del congedo, come in un gesto teatrale definitivo che racchiuda un appello all'eternità.
LUIGI CHERUBINI
REQUIEM in do minore (1816)
Composto nel 1815 per volere di Luigi XVIII (in onore del fratello Luigi XVI giustiziato vent'anni prima), il Requiem fu eseguito nella chiesa di St. Denis a Parigi il 21 gennaio 1816. La partitura impressionò particolarmente i coevi e divenne modello per i compositori, che ne apprezzavano la scrittura elegante, l'intrinseca mestizia, nonché l'assenza di tono celebrativo. Più di quello di Mozart, il Requiem di Cherubini piaceva a Beethoven che affermava: «Un requiem deve essere una commemorazione malinconica dei morti. [...] Deve essere una musica calma; non c'è bisogno della tromba del Giudizio: la commemorazione dei morti non richiede strepito». Cherubini, dunque, sceglie il tono solenne e distaccato di una composizione scritta per l'umanità, rifuggendo da accenti patetici o malinconici che avrebbero conferito un carattere intimo, estraneo alle idee del compositore. Del resto non compaiono voci solistiche, perché la loro presenza avrebbe interrotto l'effetto della collettività in preghiera, concentrando troppo l'attenzione su singoli elementi, mentre è il "tutto", la dimensione antisoggettiva, che sta alla base della composizione. Come afferma Degrada, «A differenza della musica dei giovani compositori romantici che tanto l'ammiravano, la musica di Cherubini non allude mai: afferma. Essa è la concretizzazione di un mondo di idee organizzato in una visione dell'arte e del mondo che ha una saldezza granitica e che viene esibita con un rigore morale e una fermezza che potevano suggerire a Robert Schumann il paragone con Dante».
Introitus et
Kyrie
Pur rinunciando al timbro dei violini, il compositore costruisce la partitura affidando all'orchestra la parte cantabile (nel mirabile impasto tra fagotti e violoncelli), e al coro un ruolo quasi di accompagnamento, fascia sonora che solo raramente si innalza dal registro medio. Tutto ciò concorre a creare il colore scuro che segna l'apertura e domina buona parte della composizione. Il linguaggio è scarno, le armonie "povere", tutta l'attenzione si concentra dunque sulle parole, scandite e ripetute, sempre chiare e mai confuse da artifizi contrappuntistici.
Graduale
Separato armonicamente, ma naturale appendice dell'Introitus, il Graduale riduce ancora di più le forze in campo, con un effetto di assottigliamento il cui scopo è quello di far risaltare l'impatto del Dies Irae.
Dies Irae
Un colpo di tam-tam, dopo gli squilli degli ottoni, dà il via alla descrizione del giudizio universale: un inizio molto teatrale che ricorda certe esplosioni di temporali nel melodramma ottocentesco, anche per l'uso degli archi (compresi i violini) che hanno veloci note ribattute in pianissimo. Il senso incalzante del ritmo è inoltre accentuato dal semplice espediente di far cantare al coro una medesima melodia spostando però l'attacco degli uomini una battuta dopo quella delle donne. Si innesca così un "inseguimento" che, pur nella sua evidenza, non manca di creare una certa tensione; l'implacabile meccanismo travolge il «Tuba mirum» e si placa solo al «Salva me» per poi riprendere, ancora più frenetico, al «Confutatis maledictis». Le varie parti della lunga sequenza («Dies Irae», «Tuba mirum», «Rex tremendae», «Salva me», «Recordare», «Confutatis maledictis», «Voca me», «Oro supplex», «Lacrymosa») oltre al tratto comune nell'uso del coro, sono assecondate in tutte le pieghe del testo in modo quasi didascalico: dalla solenne fanfara del «Tuba mirum» si passa alla preghiera accorata del «Salva me». L'ira del «Confutatis» trova la giusta espressione nelle risorse del contrappunto, mentre la fiducia nella salvezza eterna («Lacrymosa») si riflette nella pacata armonia del canto, poggiata su una fascia orchestrale quasi trasparente e immobile.
Offertorium
Si ripete lo schema già collaudato dell'Introitus, con l'orchestra che torna a muoversi e a cantare mentre il coro scolpisce le parole con un solenne andamento omoritmico. Al versetto «Quam olim Abrahae promisisti, et semini ejus», Cherubini, in ossequio a una tradizione consolidata, imposta una fuga magniloquente, prova significativa della sua fama di abile contrappuntista. Anche in questo caso però l'architettura salvaguarda la comprensibilità del testo e, dove le parole si sovrappongono, Cherubini le ripete finché non siano emerse in tutta la loro pregnanza.
Sanctus
L'orchestra al completo (con trombe, tromboni e corni sempre in evidenza) e il coro quasi sempre nel registro medio-alto, rendono imponente e sfarzosa la celebrazione della gloria divina in questa breve ma intensa pagina. Il metro ternario conferisce inoltre una fierezza che trova la logica conseguenza nell'invocazione «Hosanna in excelsis», perfetto esempio di concordanza tra testo e musica.
Pie Jesu
La preghiera per le anime defunte diviene, tra le mani del compositore, un'elegante melodia che si snoda per otto battute e ritorna più volte tra le varie voci, un leitmotiv sapientemente costruito per imprimersi nella memoria dell'ascoltatore. L'orchestra accompagna sempre in pianissimo come se non volesse "disturbare" il movimento delle voci, e solo qua e là clarinetti e fagotti impreziosiscono la partitura con la loro particolare sonorità.
Agnus Dei
Il coro implora la pace eterna, e l'Agnello di Dio viene invocato per tre volte con grande energia. Cherubini alterna in modo netto forte e piano e, dopo aver infiammato la parte centrale («Lux aeterna»), nel finale in pianissimo si allontana dalla preghiera esteriore, quella declamata, per concentrarsi sul silenzio dell'interiorità che mano a mano dilaga nella partitura.
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Mario Valsecchi coordina e dirige I Civici Cori - Civica Scuola di Musica Claudio Abbado. È inoltre organista titolare presso la chiesa arcipresbiterale di Calolziocorte (LC), direttore artistico e musicale di Nova et Vetera - Orchestra da Camera di Lecco, direttore del coro da camera della Cappella Mauriziana, direttore della Cappella Musicale della Cattedrale di Bergamo. È direttore artistico di rassegne musicali nelle province di Lecco e Bergamo. In qualità di organista si dedica, in particolare, allo studio e all’esecuzione del repertorio barocco, romantico e contemporaneo. Predilige programmi monografici, dedicati a un autore, a una scuola organistica o a un preciso riferimento liturgico. Svolge un’intensa attività direttoriale, particolarmente dedicata ai capolavori della musica “sacra”, tra i curi Johannespassion di J. S. Bach, gli oratori Giuseppe in Egitto di L. Rossi, Caino e Abele di B. Pasquini, La Giuditta di A. Scarlatti, La Susanna di A. Stradella, Jephte di G. F. Haendel, La Creazione di J. Haydn, Oratorio di Natale di Saint-Saëns, Stabat Mater di T. Traetta e di J. Haydn, cantate e messe di J. S. Bach, W. A Mozart, J. Haydn, Schubert, F. Mendelssohn, Passio secundum Joannem di A. Pärt. È autore di numerose composizioni polifoniche scritte, in particolare, per la Cappella Musicale del Duomo di Bergamo.
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lunedì/venerdì 10.00/12.30 - 14.00/18.00